Sono diventata astronoma perché non potevo immaginare di vivere sulla Terra e non cercare di capire come funziona l’Universo.
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Sono diventata astronoma perché non potevo immaginare di vivere sulla Terra e non cercare di capire come funziona l’Universo. Grazie anche al mio lavoro oggi lo capiamo un po’ di più.
(continua)

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Da bambina non c’è niente che mi interessi di più che osservare le stelle ogni notte. Mio padre mi aiuta a costruire un semplice telescopio con due lenti e un tubo di cartone e mi accompagna regolarmente alle riunioni degli astrofili.
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I miei professori delle superiori si stupiscono che una ragazza voglia studiare astronomia: se mi piacciono i corpi celesti, perché non prendo in considerazione l’idea di studiare arte e poi dipingerli? Non li ascolto e mi iscrivo al Vassar College, un’università per donne nello stato di New York, dove nel 1948 sono l’unica laureata in astronomia. Sempre nel 1948, a diciannove anni, sposo il fisico e chimico Robert Rubin.
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Saremo una coppia unita e felice per sessant’anni e tutti i nostri quattro figli diventeranno scienziati.
Non posso studiare a Princeton, dove insegna Einstein, perché ammetterà le donne ai corsi di astronomia soltanto nel 1975. Mi iscrivo invece alla Cornell e nel 1950 la mia tesi di laurea suggerisce una scoperta rivoluzionaria: l’Universo ruota su sé stesso!
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Oggi sapete che non è così, ma per l’epoca è un’ipotesi legittima. Il presidente di dipartimento mi propone di presentarla a un importante convegno scientifico, e dato che sto per partorire si offre di tenere la relazione lui stesso. Ma a proprio nome. Rispondo senza nemmeno pensarci: «No. Posso andare io.» Non ho neanche la macchina, mi accompagnano i miei genitori.
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Il mattino dopo tengo la mia relazione. Tranne il grande Martin Schwarzschild, che rimane possibilista, tutti gli uomini presenti mi sommergono di critiche. Lo studio non viene pubblicato. Da allora non presenterò mai più un risultato scientifico senza averlo prima verificato fino alla nausea.
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Nel 1954 prendo il dottorato in astronomia alla Georgetown University di Washington con George Gamow, frequentando i corsi serali mentre mia mamma mi aiuta con il primo figlio e io aspetto il secondo. La mia tesi mostra che le galassie non sono distribuite uniformemente nello spazio ma in gruppi, una scoperta sorprendente che verrà ignorata per anni. Il mancato riconoscimento mi pesa. Chiedo spesso a mio marito: «Diventerò mai una vera astronoma?»
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Nel 1965 mi viene rifiutato l’accesso al telescopio Hale dell’importante osservatorio Palomar. Non è per cattiveria, mi spiegano, ma il lavoro richiede di restare tutta la notte e non c'è un bagno per le donne. Allora ritaglio una gonna di carta e la incollo sulla figura maschile stilizzata su una delle porte. «Ecco fatto. Adesso c’è». Mi lasciano fare le mie osservazioni al’osservatorio Palomar.
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