Una piccola riflessione sulle cose che non fanno ridere.
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@aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones
2/2 la stessa commedia all'italiana in realtà ha due forme: una è appunto quella di Sordi, che usa la commedia anche di bassa per sbattere in faccia allo spettatore la sua ipocrisia, la sua prepotenza, il suo servilismo. L'altra invece è quella che si concentra solo sull'umorismo, soprattutto di bassa, e “cede le armi” al piccolo borghese per cercare un oggetto da deridere ancora piú in basso.
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@aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones
Per inciso non escludo che Fantozzi sia _inteso_ come critica sociale. Il problema è che lo fa deridendo l'oggetto della critica invece che il suo persecutore.
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@oblomov @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones Fantozzi è satira sociale piuttosto apertamente.
Parla dello sfruttamento della classe media e della disparità sistemica della divisione per classi.
Infatti era (è?) famoso anche in Russia dove avevano(hanno?) problemi assai simili.“Fantozzi” speciale I – La tragedia di una società ridicola | Cinefilia Ritrovata | Il giornale della passione per il Cinema
L’esordio cinematografico del ragionier Ugo Fantozzi, fortunata e geniale maschera letteraria creata da Paolo Villaggio, avviene nel 1975 anno cruciale per la commedia all’italiana, inquanto la purezza adamantina del genere legato ai vizi e alle mostruosità dell’italiano medio all’interno del boom economico, si era già frantumata in diverse schegge, tra commedie sexy, decamerotici, tragicommedie popolari (Straziami ma di baci saziami et similia) e allegorie grottesche (da Marco Ferreri in giù). La nostra commedia annaspa nelle spire di una società sempre più preda di stragi terroristiche e cerca nuove strade, nuove vie, nuove forme e linguaggi per raccontarsi. Nel 1975 escono Amici miei di Mario Monicelli, Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller e La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone di Pupi Avati, tre opere in cui il linguaggio della commedia si congela e spinge verso la tragedia esistenziale, l’umorismo si fa plumbeo e intriso di irredimibile tristezza. In questo clima di cambiamento esce anche Fantozzi diretto da Luciano Salce e interpretato dal suo autore letterario Paolo Villaggio. Già da come entra in scena il personaggio è facile comprendere l’ascendenza che ha con la grande letteratura tragica di Kafka, Gogol' e Dostoevskij. Ugo Fantozzi esce da un buco fatto in un muro (era stato murato per errore nei bagni dell’azienda in cui lavora come impiegato) come un topo sbuca dalla propria tana, rattrappito, malconcio e grigiovestito e come un sorcio viene accolto con una tremenda martellata sul cranio da un operaio che stava aprendo il varco nel muro per liberarlo. L’ingresso in scena è emblematico per descrivere questa figura tragica e ridicola al tempo stesso e Paolo Villaggio, durante un’intervista rilasciata alla televisione svizzera dopo l’uscita del film, sottolinea l’importanza del tragico come parola chiave per leggere e interpretare la maschera di Fantozzi. Sempre nella medesima intervista, Villaggio sottolinea l’enorme e inaspettato successo prima dei romanzi e a seguire del film, raggiunto grazie alla precisa coincidenza tra personaggio e momento storico, Fantozzi diventa così lo specchio in cui il pubblico può riflettersi. Il tragicomico impiegato è il capro espiatorio di una società ridicolmente alienata e travolta dall’ondata consumistica, quel consumismo preconizzato da Pier Paolo Pasolini che ha portato la collettività a nutrirsi dei rifiuti che produce (Salò docet). Fantozzi inizialmente doveva essere diretto da Salvatore Samperi, il quale aveva già lavorato con Villaggio nella commedia Beati i ricchi, ma alla fine la scelta cade su Luciano Salce, autore e interprete di spicco della commedia del boom economico, che ha siglato imprescindibili capisaldi del filone come Il federale, La voglia matta e La cuccagna e che solamente un anno prima aveva diretto Paolo Villaggio nel crudelissimo Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno. Salce con Fantozzi si muove in una doppia direzione stilistica, se da un lato abbraccia la satira di costume, attraverso una descrizione salace della società italiana post-boom (la classe impiegatizia, la classe dirigente, le istituzioni), dall’altro si immerge in una dimensione metafisica, surreale e fumettistica, fortemente legata alle iperboli presenti nel modello letterario. Una delle peculiarità di Fantozzi è proprio l’utilizzo dell’iperbole sia visiva che narrativa, esasperando così la figura del travet e facendone al contempo un personaggio tristemente umano e comicamente fumettistico, mescolandovi al suo interno figure come quelle dello schlemiel ebraico e dell’augusto circense. Il mezzemaniche sfruttato e sfortunato diviene così protagonista di una serie di bozzetti in cui resta spesso fisicamente vittima di disgrazie, uscendone praticamente illeso come le figure animate di Tex Avery e i comici dello slapstick, mentre una voce over (Paolo Villaggio stesso) introduce e chiosa con aggettivi iperbolici (agghiacciante, terrificante..) le diverse avventure. La struttura narrativa di Fantozzi non è propriamente episodica, ma si presenta come una concatenazione di bozzetti quotidiani a cui fanno da collante ambienti (gli uffici della Megaditta, l’interno domestico) e personaggi (la moglie Pina, la figlia Mariangela, i colleghi Silvani, Filini e Calboni) che si ripetono puntualmente e proprio come i comici del muto il ragionier Ugo è di volta in volta protagonista di diverse situazioni: Fantozzi in campeggio, Fantozzi al ristorante giapponese, Fantozzi e la partita di tennis, Fantozzi al veglione di Capodanno, riprendendo la scansione narrativa dei romanzi. Dopo il dittico di Salce, fortemente legato sia alla commedia di costume che alle iperboli letterarie di Villaggio, nei successivi capitoli questa dicotomia scompare, cambiano le mode, i modelli sociali e politici e tra gli anni Ottanta e Novanta Fantozzi diventa una figura scollata da un preciso contesto sociale, replicandosi all’infinito in un eterno ritorno di umorismo cartoonesco e sadomasochistico. Il film, sceneggiato da Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luciano Salce e Paolo Villaggio, riesce a radiografare in fieri e in maniera critico-analitica quel momento storico-culturale, trasformando cliché preesistenti all’interno della commedia all’italiana, come quello impiegatizio, in qualcosa di diverso. Ugo Fantozzi è la versione iperrealista del mite e meschino impiegato di Nino Manfredi (L’impiegato e poi sulla falsariga I complessi) e procede il suo assurdo e kafkiano calvario esistenziale saltando da una situazione ad un’altra, da una stagione a quella successiva o a quella precedente (un po' come il Marcovaldo di Calvino) e nella famigerata sequenza del capodanno, richiama in chiave parodica e grottesca quella contenuta ne Il posto di Ermanno Olmi. Fantozzi funziona quasi come una sorta di critofilm, atto a rileggere, comprendere e attualizzare il processo creativo della commedia all’italiana, allargandosi nel secondo capitolo anche al cinema internazionale d’essai. Alla sua prima uscita in sala, il film non fu accolto molto positivamente dalla critica e dalla stampa, venendo liquidato dai più come un’opera slegata, eccessivamente goliardica e di natura frammentaria. Leo Pestelli fu tra le prime voci della critica a coglierne dei valori, sottolineando come
Cinefilia Ritrovata (www.cinefiliaritrovata.it)
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@Dunpiteog @oblomov @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones sto scambio è molto interessante perché di solito l'ho sempre letto all'opposto (un po' per frequentazioni e non per gusto mio, che invece amo un po' tutto)
Sordi (+ soprattutto Monicelli) mi sembra venissero percepiti come una satira "giustificante" dell'italiano arraffone furbacchione, da cui le critiche di Nanni Moretti ecc.
Fantozzi fa ridere ma teoricamente anche incazzare, impietosire e riflettere (idealmente almeno)
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@Xabacadabra @Dunpiteog @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones
So che nell'interpretazione dell'opera di Sordi ci sono entrambi i campi (quelli come te che la vedono come “celebrativa” dell'italiano medio, e quelli come me che invece la vedono come un modo per cercare di farne emergere l'ipocrisia).
Con Fantozzi il problema è che fa ridere _della vittima_, e la buona satira non dovrebbe fare cosí.
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@Xabacadabra @Dunpiteog @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones
Per me il confronto migliore è quello con Totò, la cui satira invece era *chiaramente* diretta contro ricchi, nobili, potenti e arrivisti. Ed è questa la differenza: Totò fa critica sociale facendo ridere degli oppressori, Fantozzi la fa facendo ridere della vittima. E la seconda sarà pure catartica, ma a mio parere non è buona satira.
2/2
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@Xabacadabra @oblomov @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones Sordi ha fatto alcuni capolavori a mio avviso, anche loro di critica sociale.
Quelli per me più riusciti e attuali sono "Finché c'è guerra c'è speranza" che critica l'ipocrisia della società riguardo agli armamenti e la guerra in generale e "il medico della mutua" che critica il comportamento della società riguardo la salute pubblica e in definitiva il profitto e il consumismo. -
@oblomov @Dunpiteog @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones
io credo che villaggio nel "ridere della vittima" volesse portare a un cinismo dove l'italiano medio ride di se stesso, riflette e magari s'incazza e si sveglia per uscire dalla mediocrità dove invece si sente "arrivato al benessere", ma è un'interpretazione personale
Totò era bellissimo ma in questo forse più metadone dei poveri, tipo giullare che sfotte il re per mantenere lo status quo?
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@Xabacadabra @oblomov @aaronwinstonsmith @ju @marcoboh @jones sono film molto vecchi con ritmi e linguaggi probabilmente datati e non privi di parti irrispettose. Ma la trama principale di critica sociale era già presente, spesso non compresa nemmeno al feroce lavoro di censura politica dei tempi.